
Poesie
Fuoribordo, Musiche di Francesco Aroni Vigone su testi di Eugenio Montale
GLI OSSI DI MONTALE SBIANCATI TRA RAP, FREE E ELETTRONICA
FLAVIANO DE LUCA
Per molti sono state un rompicapo liceale o una stupenda rivelazione,
però sentire brani di "Ossi di seppia" e "Finisterre" sparati
con una linea di basso e un arzigogolo di sax è davvero spiazzante.
Una raffica di parole che ti avvolge sul filo suadente della
ritmica e piano piano ti stordiscono. Stiamo parlando dei versi di
Eugenio Montale messi in musica da un gruppo di giovani strumentisti
jazz nel compact "Poesie fuori bordo", un disco autoprodotto (su etichetta
Cmc) con l'aiuto della fondazione dedicata al premio Nobel ligure.
Il quintetto è capitanato da Francesco Aroni Vigone al sax
ed è formato da Giuliano Palmieri alla computer music, Piero
Stefano Ferrari al double bass, Gianni Parodi alla batteria e Alessio
Bertallot alla voce. Questo raffinato ammodernamento di Montale è
un progetto che è stato anche rappresentato in teatro a Milano
e in alcune località della riviera , Ne parliamo con Bertallot,
rapper di fama, ex voce degli Aeroplani Italiani, conduttore di una
seguita trasmissione radiofonica su Radio Dee Jay, che aveva cominciato
proprio con dei cut-up delle poesie di Alessandro Manzoni, prima di
far carriera nel business musicale. "Noi cinque ci conosciamo
da tempo e siamo stai molto contenti di poterci misurare col lavoro
di Montale. Le cose che scrive sono talmente potenti, sono squarci
sul nulla, descrizioni dell'inconsistenza della realtà....ovviamente
Montale è un monumento. La nostra idea era di esorcizzarlo,
di avvicinarlo ad un pubblico non suo, con le poesie che acquistano
quasi un'altra vita, cantate dal vivo. il pubblico rimane stranito,
incuriosito ma un pò sorpreso, E' un discorso musicale fuori
da rap, hip hop, jungle o quello che sia". Ascoltando i vari
brani,
la musica non ha affatto una matrice modaiola, anzi sta quasi rispettosamente
a distanza, seguendo un discorso tutto suo, minimale, leggero eppure
fortemente influenzato dalle ultime tendenze sonore. si rincorrono
atmosfere elettroniche e percussioni caraibiche, con piccoli assoli
che sembrano riempire uno spazio vuoto, lo scarto tra una poesia recitata
e una canzone parlata. E' una vertigine improvvisa e contagiosa, dall'iniziale
"Non chiederci" col refrain "Non domandarci la formula che mondi possa
aprirti/ si qualche storta sillaba che è secca come un ramo/
oggi sol questo possiamo dirti/ ciò che non siamo ciò
che non vogliamo" dove Bertallot si conferma guerrigliero della parola,
pronto a piegare sillabe e significati, rallentando o forzando. Alla
cupa marcia di "Debole sistro", con le frasi che cercano di stemperare
e addolcire un disagio profondo. E poi scorrono "L'anguilla" e "Il
re pescatore" e tutte le altre, in totale sono dodici. Particolarmente
riuscita sembra "In un'aria di vetro" dove la musica colora il paesaggio,
cercando di rendere l'ambiente marino spazzato dal maestrale, con
rumori secchi, scratch, distorsioni. E' un'operazione che rimanda
forse alle canzoni interpretate da Laura Betti su testi di Pier
Paolo Pasolini e musiche di noti direttori d'orchestra italiani. Ma,
nel tormentato incontro di poesia e musica, un posto di rilievo spetta
alla beat generation. Dalle improvvisazioni di Allen Ginsberg
accompagnate da un organetto a quelle di Leroi Jones con i jazzisti
della 125° Strada. Tornando in Italia, basta pensare al lavoro
sul testo di Dario Fo e Enzo Jannacci ai tempi di "Ho visto un re"
e "Prete Liprando" o al sodalizio tra Lucio Dalla e Roberto Roversi
per "Automobili".
MONTALE, UN RAPPER CON L'ANIMA JAZZ
ALESSIO BERTALLOT E LE "POESIE FUORIBORDO"
Offrire un vestito sonoro di buon taglio alle poesie di Eugenio Montale
rappresenta un esperimento singolare, coraggioso e, diciamolo francamente,
anche parecchio ambizioso. Eppure, ascoltando Poesie fuoribordo (CMC
Records/Soundcage), il disco che "fotografa" il progetto live
che il sassofonista Francesco Aroni Vigone porta da un anno sui palcoscenici
italiani con un manipolo di musicisti jazz dell'area più creativa,
ben oltre gli steccati di genere, l'impressione è che tra i
versi del poeta genovese e il pentagramma esista un rapporto forte,
stretto, addirittura inscindibile. In realtà, il lavoro di
Aroni Vigone sulle musiche, con il contributo di Giuliano Palmieri,
computer, Gianni Parodi, batteria, Piero Stefano Ferrari, contrabbasso,
e quello di Alessio Bertallot su voce, scansioni metriche e ritmiche
dei testi, s'è rivelato tutt'altro che facile e men che
meno banale. Anzi... "Musicare delle poesie è un compito duro,
credo che la nostra sia fondamentalmente un'opera
onesta"
spiega Bertallot, estemporaneo quanto credibilissimo rapper montalliano.
"Talvolta ne sono scaturite delle vere e proprie canzoni, quando la
melodia ha trovato un'adeguata sintonia con i versi. Abbiamo sempre
comunque mantenuto le poesie nella loro integrità. Solo nel
brano Le parole ho smontato e ricostruito con ordine diverso alcune
strofe. E nel Riassunto, che non è di Montale ma una sorta
di bonus track che facciamo dal vivo, un gioco di montaggio degli
elementi fondamentali di queste poesie: l'inconsistenza della realtà
e l'aspetto più esistenziale dell'opera monta
liana.
Si tratta in questo caso di un divertissement sul testo, nel tentativo
di fare del rap su una base jazz a tempi dispari. Non ci inventiamo
nulla, beninteso, ma insomma... è una cosa che sipuò
fare". Bertallot si schermisce, ma le Poesie fuori bordo sono
tut'altro che un giochetto da ragazzi. E lui, che in passato s'era
già divertito a fare da architetto sonoro a D'Annunzio e Manzoni,
ha scoperto nell'opera di Montale una sublime musicalità interiore,
"un lessico formidabile, molto ricercato, un vocabolario infinitamente
articolato. Montale non è mai didascalico, le sue parole si
rivelano improvvisamente, e allora scopri che era un grande filosofo,
un pensatore profondo. L'addizione dei suoi versi con la musica ci
regala un'energia pazzesca". F I.B